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La Farina Bona

La farina bóna è un prodotto tradizionale della Valle Onsernone (Cantone Ticino). Si tratta di una farina di granoturco (Zea mais), ottenuta macinando molto finemente la granella precedentemente tostata. In passato integrava quotidianamente la dieta degli Onsernonesi accompagnata con latte, acqua o vino. Il cambiamento delle abitudini alimentari intervenuto nel secondo dopoguerra ne fece diminuire progressivamente l'importanza. La produzione venne poi completamente abbandonata alla fine degli anni '60 (del novecento), dopo la cessazione dell'attività degli ultimi mugnai onsernonesi (Annunciata Terribilini e Remigio Meletta). Le iniziative e le ricerche sviluppatesi in seguito al restauro del mulino di Loco, realizzato dal Museo Onsernonese nel 1991, sono riuscite a riportare alla memoria questo antico prodotto ed a farne riprendere timidamente la produzione. Dieci anni più tardi la segnalazione nell’arca del gusto di Slow Food, l'impegno di alcuni privati ed il coinvolgimento dell'istituto scolastico vallerano hanno permesso di approfondirne la conoscenza storica, creare le premesse per un incremento della produzione e far conoscere la farina bóna al di là dei confini della Valle Onsernone.

Origine della Farina Bona

L'origine della farina bóna non è nota. La testimonianza più antica finora conosciuta si trova nei quaderni lasciati da Serafino Schira di Loco (1826-1914); l'autore vi elenca alcuni prodotti a base di farina bóna e dà una succinta descrizione del modo di produzione. Testimonianze orali e scritte (1926) certificano la produzione di questo tipo di farina a Vergeletto; qui la granella tostata e macinata veniva, e viene tuttora, chiamata farina sec’a. Questa denominazione è da ricondurre all'intento di distinguerla dalla "farina verda", macinata senzatostatura. Nella memoria di diversi anziani di Vergeletto rimane ancora vivo in particolare il ricordo della farina sec’a prodotta dalla signora Annunziata Terribilini, detta Nunzia (1883-1958). Per la produzione della farina bóna venivano usate diverse varietà di granoturco, provenienti perlopiù dal piano (Locarnese e Ticino in generale). Vi sono tuttavia anche testimonianze di piccoli quantitativi di mais coltivato in valle. La tostatura avveniva usualmente nei mulini stessi, in una speciale padella posata sul fuoco a Vergeletto o in un forno, come ad esempio a Loco. Non era però raro il fatto che la gente tostasse il mais a casa propria e portasse al mulino il prodotto solo per la macinatura. Un’ipotesi fa risalire la tecnica della tostatura applicata ad un cereale autoctono e presente in valle almeno dal sedicesimo secolo: la segale.

E’ probabile che il processo di tostatura presentasse delle differenze regionali. A Vergeletto, Nunzia tostava il mais fino a che almeno un terzo circa dei chicchi fosse scoppiato e avesse messo una specie di cresta (da qui il nome di "ghèl", galli in italiano, dato in questo villaggio ai chicchi scoppiati durante la tostatura) e macinava poi il tutto. L'ultimo mugnaio attivo a Loco, Remigio Meletta, scartava invece accuratamente i chicchi scoppiati. Una delle ipotesi del fatto che a Loco i barott (così venivano chiamati i chicchi apertisi durante la tostatura) non venissero macinati è legata alla troppo grande eterogeneità del prodotto versato nella tramoggia. Al momento della macinatura i ghèl/barott occludevano l’apertura della tramoggia e rendevano macchinoso e complicato il lavoro del mugnaio. Forse a Vergeletto Nunzia aveva trovato lo stratagemma per ovviare a questo inconveniente o semplicemente aveva più tempo a disposizione per separare prima del processo di macinatura i ghèll dalla granella più chiusa, oppure la tramoggia di Vergeletto era più grande o, ancora, regolata diversamente. Di sicuro il prodotto finale a Loco e a Vergeletto doveva essere leggermente diverso. La macinatura doveva essere molto fine, così da ottenere, come dallo scritto dello Schira e da molte altre testimonianze orali raccolte a Vergeletto, una farina dalla consistenza paragonabile a un filo di seta. Questo era possibile unicamente con l'impiego di macine con una rigatura particolare e con una perfetta regolazione.

Testimonianze orali e scritte raccolte dal CDE (Centro di Dialettologia ed Etnografia del Cantone Ticino) hanno attestato la produzione di una farina simile alla farina bóna anche nella bassa Vallemaggia. In questa regione, collegata all’Onsernone dalle antiche vie di comunicazione e di transumanza (Passo della Garina: Aurigeno-Moghegno-Loco e il Passo Confèda: Moghegno-Lodano-Gresso) veniva chiamata "farina da cà", "farina rostida" oppure "farina scaldada". In Vallemaggia, la tostatura eseguita nei forni del pane era simile a quella della bassa valle Onsernone, con poca o addirittura senza granella aperta. Anche in valle Verzasca (Mergoscia e Sonogno) si tostavano per una giornata su fuoco lento i chicchi di mais e poi li si macinavano. Questa farina tostata veniva aggiunta ai cibi, specialmente alla minestra. Attualmente la farina bóna venduta dai produttori locali (Museo Onsernonese e Ilario Garbani Marcantini) risponde alla testimonianza scritta secondo la quale "un terzo dei grani metteva la cresta" (un terzo circa dei chicchi si apre durante la tostatura).

 

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Farina bona
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